Biografia

La nascita, gli studi, il lavoro presso la Goupil & Cie
Vincent Willem van Gogh nacque a Groot Zundert, in Olanda, il 30 marzo 1853, figlio di Theodorus Van Gogh (1822-85), un pastore della Chiesa Riformata Olandese, e di Anna Cornelia Carbentus (1819-1907). I genitori di van Gogh ebbero altri cinque figli, tra i quali Théodorus junior, denominato Théo (1º maggio 1857-25 gennaio 1891), che sarà una presenza costante e importantissima nella vita del pittore.
Dal gennaio 1861 al marzo 1868 Vincent van Gogh fu impegnato negli studi, prima nel suo paese natale, e successivamente a Zevenbergen e a Tilburg. Proprio a Zevenbergen si accostò per la prima volta al disegno. Il 19 marzo 1868, a causa dello scarso rendimento e di alcuni problemi economici sofferti dal padre, ritornò a Zundert senza aver concluso gli studi.
Nel 1869 lo zio Vincent (detto 'Cent') raccomandò il nipote alla filiale dell'Aia della Goupil & Cie, una casa d'arte specializzata nella riproduzione di stampe. Il lavoro del giovane Vincent consisteva nel vendere litografie, fotografie, dipinti, calcografie, acqueforti o riproduzioni.
Durante questo periodo intraprese con Theo un rapporto epistolare che sarebbe durato per tutta la sua vita. Vincent van Gogh lavorò presso la Goupil & Cie fino al 1º aprile 1876 operando, attraverso vari e ripetuti trasferimenti, oltre che a L'Aia, nelle sedi di Bruxelles, Londra, città nella quale subì la sua prima delusione amorosa, e Parigi.
La vocazione evangelica
Tornato in famiglia per il Natale del 1876, van Gogh fu dissuaso dai genitori dal ripartire per l'Inghilterra. Dopo vari tentativi infruttuosi di entrare nell'ambiente ecclesiastico, Vincent riuscì ad ottenere un incarico semestrale presso la Scuola Evangelista di Bruxelles, andando a vivere a Wasmes, nel Borinage, una regione carbonifera belga dove i lavoratori vivevano in condizioni di estremo disagio. Nel 1876 van Gogh lavorò in Inghilterra come supplente presso una scuola metodista, prima a Isleworth e successivamente a Ramsgate.
La totale devozione verso il prossimo indispettì i suoi superiori, che temevano il pericolo di rivendicazioni sociali. Perciò, una volta scaduti i sei mesi di prova, non gli rinnovarono il contratto di catechista. Vincent van Gogh continuò a svolgere quella che considerava una missione: si trasferì nel vicino paese di Cuesmes dove visse con un minatore del luogo e, pur indigente, cercò ancora di aiutare chi era in condizioni di estrema necessità.
La totale devozione all'arte, Sien, Nuenen e i primi "van Gogh"
La svolta definitiva si verificò quando van Gogh individuò nella pittura un metodo migliore per diffondere il messaggio evangelico e per mostrare solidarietà verso quei lavoratori così sfruttati, prostrati e bisognosi. Fondamentali, in tal senso, sono state le sollecitazioni di Théo. Ormai completamente votatosi alle Belle Arti, nell'ottobre 1880 Vincent si recò a Bruxelles.
Qui Vincent, infatti, familiarizzò sempre più con il disegno prospettico e anatomico e, soprattutto, rilevò come le sue aspirazioni pittoriche fossero finalmente condivise dai genitori. Vincent restò a Bruxelles sino all'aprile 1881, quando si trasferì dai genitori a Etten, città presso la quale Théodorus era stato chiamato per il suo pastorato.
Dopo aver subito un rifiuto amoroso da Kee, una sua cugina rimasta vedova da poco e della quale van Gogh era profondamente innamorato, nel gennaio 1882 Vincent si infatuò di una prostituta trentenne, alcolizzata e butterata dal vaiolo, tale Christine Clasina Maria Hoornik, detta «Sien», madre di una bambina e in attesa di un altro figlio. Vincent visse insieme a Sien per circa un anno e mezzo. La loro relazione si rivelò di fatto insostenibile, a causa di gravi problemi economici: Sien, stanca di vivere di stenti, ritornò a prostituirsi, con grande rammarico del pittore.
Dopo la relazione con Sien, van Gogh torno a vivere con i genitori, che si erano trasferiti a Nuenen, nel Brabante. A Nuenen crea presto i primi capolavori, i primi "Van Gogh". Se questo soggiorno fu assai fecondo sotto il profilo artistico, lo fu assai meno dal punto di vista privato. La madre era costretta a letto a causa di una gamba rotta durante una discesa maldestra dal treno. Il colpo più grande, tuttavia, gli fu sferzato dal padre: il 26 marzo 1885, dopo un violento alterco con lui, Théodorus van Gogh morì all'improvviso, stroncato da un insulto apoplettico a soli sessantatré anni. Nonostante gli amari dissapori presenti tra i due l'inaspettata morte del padre amareggiò molto Vincent, che tentò di sfogare i propri tumulti interiori anche per via artistica, con la realizzazione della Natura morta con Bibbia.
Anversa e Parigi
Un breve viaggio in Olanda, ad Amsterdam e l'importante visita al Rijksmuseum gli permisero di scoprire Frans Hals e Rembrandt, che riconobbe come gli ideali anticipatori della sua ricerca formale. In seguito, comprendendo di non poter rimanere in un paesino come Nuenen, nel novembre 1885 si trasferì a pensione ad Anversa, frequentando le chiese ed i musei della città, dove ammirò il vivace colorismo di Rubens.
Altrettanto importante fu la ricezione delle stampe giapponesi, che scoprì vagabondando nel quartiere portuale della città. Ad Anversa l'artista frequentò i corsi della Scuola di Belle Arti, in modo da colmare le sue carenze. La rigidità dell'insegnamento accademico, tuttavia, non lasciava posto all'esuberanza del suo estro artistico, tanto che quando nel febbraio del 1886 egli prese parte a un concorso tra gli studenti dell'istituto i suoi lavori ricevettero una secca bocciatura e, anzi, il corpo docente gli consigliò persino di frequentare i corsi delegati agli aspiranti pittori di dodici anni.
Van Gogh, tuttavia, non fu affatto mortificato da queste grettezze pedagogiche, tanto che quando si vide respinto il lavoro presentato per l'ammissione ai corsi d'insegnamento superiore si era in realtà già trasferito a Parigi, a casa del fratello Théo, da più di un mese. Spronato dal miglioramento dei rapporti con Théo, non più pervaso da preoccupazioni paternalistiche nei confronti del fratello ma votato al recupero di un rapporto più autentico, Vincent iniziò a produrre quadri più gioiosi, con gamme cromatiche più leggere e luminose: era felice, in salute e lavorava con grande impegno.
Volendo perfezionare la sua tecnica alla guida di un artista qualificato nel corso del 1886 Vincent si accostò all'atelier di Fernand-Anne Piestre, detto Cormon, pittore storico che si discostava parzialmente dagli accademismi e che perciò era molto in voga soprattutto tra i più giovani.
La frequentazione dello studio di Cormon gli permise di conoscere Louis Anquetin, Émile Bernard ed Henri de Toulouse-Lautrec, pittori più giovani di lui ma animati dalla medesima insofferenza verso i tradizionalismi. Importanti anche le amicizie con Monet, Renoir, Degas, Pissarro, Sisley e i pointillistes Seurat e Signac, conosciuti per tramite del fratello, e con Julien père Tanguy, mercante di colori che gli commissionò due ritratti.


Arles e Gaugain
Il desiderio di conoscere il Mezzogiorno francese, con la sua luce e le sue tinte mediterranee così lontane dal cromatismo nordico, fu una buona occasione per assimilare gli stimoli artistici raccolti a Parigi e per porre fine alla convivenza con Théo, resa più difficile dal carattere irritabile di entrambi. Nel febbraio del 1888 Vincent van Gogh giunse ad Arles e prese immediatamente in affitto una camera nella pensione-ristorante Carrel. Dopo un inverno poco produttivo (a causa di un clima insolitamente rigido), arrivata la primavera, Vincent produsse una tela dopo l'altra, come se temesse che la sua ispirazione, esaltata dalle novità del mondo provenzale, potesse abbandonarlo. Le emozioni che provava di fronte alla natura provenzale erano così forti da costringerlo a lavorare senza sosta, nello stesso modo in cui non si possono fermare i pensieri quando si sviluppano in una coerente sequenza nella propria mente.
Eccitato da uno 'stato febbrile', ad Arles van Gogh realizzò ben duecento dipinti e cento altre opere tra disegni e acquerelli. Opere oggi celeberrime come La sedia di Vincent (1888), La camera di Vincent ad Arles (1888), Il caffè di notte (1888), Terrazza del caffè la sera, Notte stellata sul Rodano (1888), oltre che la serie dei Girasoli, furono tutte realizzate durante il soggiorno arlesiano. Intanto, preso da un ardente entusiasmo, van Gogh nel maggio 1888 prese in affitto l'ala destra della Casa Gialla, una delle abitazioni più famose della storia dell'arte. In quest'edificio, Vincent sognava di fondare una comunità solidale di artisti desiderosi di spogliarsi della civilizzazione e di schemi pittorici ormai frusti per vivere in concordia e, in questo modo, lottare per una pittura e un mondo migliore.
I primi artisti a cui pensò quando van Gogh cercò di attirare adepti per questo nuovo ordine artistico furono Bernard e, soprattutto, Gauguin. Gauguin non riteneva attraente il progetto di Vincent. Van Gogh, temendo un possibile rifiuto dell'amico, cercò di convincerlo in tutti i modi: ad andare incontro ai suoi desideri fu Théo, che nell'estate del 1888 contattò Gauguin offrendosi di pagargli il soggiorno ad Arles e garantendogli l'acquisto di dodici suoi quadri all'anno per la bella cifra di centocinquanta franchi. Gauguin, dopo qualche esitazione, accettò, pensando di mettere da parte quanto gli era necessario per realizzare il suo desiderio di trasferirsi, di lì a un anno, in Martinica. Gauguin giunse ad Arles il 29 ottobre 1888 e, al contrario di van Gogh, ne rimase deluso. In realtà Gauguin desiderava ardentemente trasferirsi ai Tropici non appena ne avesse avuta la possibilità.
Nei primi giorni del dicembre 1888 Gauguin ritrasse van Gogh, rappresentandolo nell'atto del dipingere girasoli. Vincent commentò: "Sono certamente io, ma io divenuto pazzo". Nelle sue memorie Gauguin scrive che quella sera stessa, al caffè, i due pittori bevvero molto e improvvisamente Vincent scagliò il suo bicchiere contro il viso di Gauguin che riuscì a evitarlo, con gran spavento. Dopo quell'episodio seguirono giorni di tensione e i due litigarono in modi plateali.
Le "tensioni eccessive" (così le definì Vincent) tra i due toccarono il massimo apice di virulenza il pomeriggio del 23 dicembre, quando accadde un episodio sconvolgente: van Gogh - la ricostruzione del fatto è tuttavia controversa - dopo un accesissimo alterco rincorse per strada Gauguin con un rasoio, rinunciando ad aggredirlo quando Gauguin si voltò per affrontarlo. Gauguin corse in albergo con i bagagli, preparandosi a lasciare Arles; van Gogh invece, in preda a disperate allucinazioni, rivolse verso di sé la sua furia lesionista tagliandosi il lobo dell'orecchio sinistro. La mattina seguente, la polizia, trovandolo solo e addormentato , lo fece ricoverare nel nosocomio dell'Hotel-Dieu, l'antico ospedale di Arles. Grazie alle amorevoli cure del dottor Félix Rey, van Gogh riuscì a superare i giorni più critici e uscì dal nosocomio il 7 gennaio 1889.
Saint-Rémy-de-Provence
Una volta terminata la degenza, Vincent fece ritorno alla Casa Gialla e superò la sua crisi, anche grazie al sostegno morale di Joseph Roulin e di Théo. Vincent alternava periodi di serenità, nei quali era in grado di valutare lucidamente e ironicamente tutto quello che gli era successo, a momenti di ricadute nella malattia: il 9 febbraio, dopo una crisi nella quale era convinto che qualcuno volesse avvelenarlo, fu nuovamente ricoverato in ospedale. Una volta dimesso Vincent riprese a lavorare di buona lena nella Casa Gialla: la crisi della sua salute mentale, tuttavia, era palpabile, e trenta cittadini di Arles, si fecero avanti firmando una petizione dove si richiedeva l'internamento dell'artista. Grazie all'intervento di Signac la petizione non ebbe buon esito: Vincent, tuttavia, comprese di essere malato sia fisicamente che spiritualmente e perciò, dopo l'ennesimo deliquio, l'8 maggio 1889 entrò volontariamente nella Maison de Santé di Saint-Paul-de-Mausole, un vecchio convento adibito a ospedale psichiatrico a Saint-Rémy-de-Provence, a una ventina di chilometri da Arles.
Nella clinica di Saint-Rémy non veniva praticata alcuna cura, a meno di definire "cura" i due bagni settimanali cui i pazienti erano sottoposti. Aveva a disposizione una camera vuota dove poter dipingere, poteva andare a dipingere anche fuori dal manicomio, accompagnato da un sorvegliante, e continuò a mantenersi in contatto epistolare con il fratello, che gli spediva libri e giornali. L'inattività, infatti, risultava inaccettabile per Vincent, che nella solitudine della vita claustrale del manicomio poteva sentirsi vivo solamente ritraendo i luminosi vigneti o gli uliveti grigio-argentei del paesaggio intorno Saint-Rémy. A questo periodo risalgono infatti ben centoquaranta dipinti, fra i quali vale assolutamente la pena citare la celeberrima Notte stellata, oggi esposta al Museum of Modern Art di New York.
La vita del pittore, purtroppo, continuò a essere costellata di eventi spiacevoli: nel giugno 1889 subì un violentissimo attacco allucinatorio, e il matrimonio tra Théo e Johanna Bonger - coronato con la nascita del piccolo Vincent, così chiamato proprio in onore dello zio e padrino - lo lasciò in uno stato di profonda prostrazione, causata dal timore di vedere il suo amato fratello allontanarsi da lui e dai suoi travagli. L'atmosfera deprimente che si respirava nel manicomio, d'altronde, non aiutava certo a risollevare il morale di Vincent, che verso la fine del dicembre 1889 tentò di suicidarsi ingerendo colori velenosi (ne conseguì un assoluto divieto di dipingere a olio).

I primi riconoscimenti
Se da un lato la vita del pittore continuava ad essere difficile a causa della sua instabilità mentale, dall'altro il pubblico iniziò a interessarsi di lui e delle sue opere. A novembre ricevette l'invito a esporre sue tele all'associazione "Les XX" di Bruxelles: accettò inviando sei quadri, due Girasoli, L'edera, Frutteto in fiore, Campo di grano all'alba e La vigna rossa. Fu il pittore Bernard a invitare il critico d'arte Albert Aurier, redattore de "Le Moderniste" e ammiratore della letteratura simbolista, a interessarsi di van Gogh: questi pubblicò allora sul "Mercure de France" del gennaio 1890 l'articolo 'Les Isolés: Vincent van Gogh' in cui esaltò la pittura di van Gogh.
Per quanto van Gogh potesse essere lusingato dalle lodi, giudicò l'articolo più un interessante pezzo di letteratura che un'analisi corretta della sua pittura. Si era intanto aperta a Parigi, il 19 marzo 1890, una mostra dei pittori indipendenti inaugurata dal Presidente della Repubblica - dimostrazione di quanto la moderna pittura impressionista, neo-impressionista e post-impressionista fosse ormai divenuta "rispettabile" - e van Gogh vi partecipava con dieci tele. Erano esposti dipinti di Seurat, Signac, Toulouse-Lautrec, il doganiere Rousseau, Guillaumin, Dubois-Pillet, Théo van Rysselberghe, Anquetin, Lucien Pissarro, Henry van de Velde.
Monet sostenne che le opere di van Gogh erano le cose migliori della mostra e anche Gauguin gli scrisse, congratulandosi: "con soggetti ispirati alla natura, là siete il solo che pensa".

Auvers-sur-Oise e la prematura scomparsa
Il 16 maggio 1890 Vincent lasciò definitivamente Saint-Rémy per raggiungere il fratello a Parigi. Passò tre giorni in casa di Théo, poi, come convenuto, il 21 maggio partì per stabilirsi a Auvers-sur-Oise, un villaggio a una trentina di chilometri da Parigi dove risiedeva un medico amico di Théo, il dottor Paul-Ferdinand Gachet, che si sarebbe preso cura di lui. Van Gogh prese alloggio nel caffè-locanda gestito dai coniugi Ravoux, nella piazza del Municipio.
Il sessantaduenne dottor Gachet, era un personaggio molto noto ad Auvers, dove abitava in un villino che dominava il paese. Laureatosi a Montpellier in medicina generale e con un particolare interesse per la psichiatria, esercitò a lungo a Parigi, dove conobbe molti artisti, da Victor Hugo a Gustave Courbet, da Manet a Renoir e Cézanne, e la sua casa conservava parecchie tele di impressionisti. La sua competenza nelle cose artistiche, certe comuni preferenze e anche il suo garbo e la sua natura fondamentalmente malinconica fecero presa sul pittore, che frequentò spesso la sua casa, ritraendo due volte la figlia Marguerite e non mancando di fargli il ritratto, che replicò anche in una seconda versione.
In giugno Théo e la famiglia gli fecero visita e progettarono la possibilità di affittare ad Auvers una casa dove Vincent avrebbe potuto vivere insieme a qualche altro artista. La visita fu ricambiata da Vincent il 6 luglio a Parigi, dove incontrò Toulouse-Lautrec e, per la prima volta, il critico d'arte Albert Aurier. In quei giorni Théo, oltre ad avere il figlio seriamente malato, era afflitto da problemi di lavoro: così, Vincent preferì ritornare presto ad Auvers, non sopportando il clima di tensione che percepiva nella famiglia del fratello.
Nel periodo auversiano, in poco meno che due mesi, Vincent realizzò il Paesaggio con cielo tempestoso, il Campo di grano con volo di corvi e Il giardino di Daubigny. È certo che egli non faceva nulla per alleviare la sua solitudine nonostante ne fosse oppresso: non frequentò mai i non pochi pittori che soggiornavano ad Auvers - uno di essi, l'olandese Anton Hirschig, alloggiava nel suo stesso albergo - anche se forse loro stessi, spaventati, lo evitavano, a causa della sua malattia.
La sera del 27 luglio 1890, una domenica, dopo essere uscito per dipingere i suoi quadri come al solito nelle campagne che circondavano il paese, rientrò la sera sofferente nella locanda e si rifugiò subito nella sua camera. Ravoux, non vedendolo a pranzo, salì in camera sua, trovandolo disteso e sanguinante sul letto: a lui van Gogh confessò di essersi sparato un colpo di rivoltella allo stomaco in un campo vicino. Al dottor Gachet - che, non potendo estrarre il proiettile, si limitò ad applicare una fasciatura mentre gli esprimeva, comunque, la speranza di salvarlo - rispose che aveva tentato con coscienza il suicidio e che, se fosse sopravvissuto, avrebbe dovuto "riprovarci": "volevo uccidermi, ma ho fatto cilecca". Rifiutò di dare spiegazioni del suo gesto ai gendarmi e, con il fratello Théo che, avvertito, era accorso la mattina dopo, trascorse tutto il 28 luglio, fumando la pipa e chiacchierando seduto sul letto: gli confidò ancora che la sua "tristezza non avrà mai fine". Sembra che le sue ultime parole siano state "ora vorrei ritornare". Poco dopo ebbe un accesso di soffocamento, poi perse conoscenza e morì quella notte stessa, verso l'1:30 del 29 luglio. In tasca gli trovarono una lettera non spedita a Théo, dove aveva scritto, tra l'altro: "Vorrei scriverti molte cose ma ne sento l'inutilità [...] per il mio lavoro io rischio la vita e ho compromesso a metà la mia ragione".

Opere
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Testi
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Influenze ricevute, poetica, tematica, elementi formali
Influenze ricevute
Van Gogh, soprattutto nei suoi primi periodi, fu influenzato dai pittori olandesi del barocco, da Rubens, Millet, Daumier, Corot, Delacroix, quindi da Degas, dalle scoperte divisioniste di Seurat e Signac e dagli incisori giapponesi, le cui opere avevano già lasciato una profonda influenza negli impressionisti. Si sono riscontrati anche certi scambi d'influenze tra lui e Gauguin.
Poetica
Vincent van Gogh era convinto, come Gauguin, che la pittura fosse un'espressione al servizio di un'idea, ma un'idea poteva essere semplicemente un'interpretazione personale, perfino arbitraria, della natura, cercando di dar libero sfogo alla sua immaginazione. "Realmente mi sentirei mortificato se le mie figure fossero 'ben fatte'. Non le voglio accademicamente perfette. Il mio più grande desiderio è quello d'imparare a realizzare tali interpretazioni personali, tali deformazioni, trasformazioni, cambi della realtà, affinché si convertano, se voglio, in bugie che, nonostante, sono più reali della realtà stessa". Van Gogh era completamente d'accordo con Gauguin quando questi aveva affermato: "Perché non dobbiamo creare armonie che corrispondano ai nostri stati d'animo?"
Tematica
Preferendo dipingere dal naturale, la sua tematica principale consiste in ritratti, autoritratti, nature morte e paesaggi.
Elementi formali
Tipico di van Gogh è l'applicazione di molto colore grumoso applicato con pennellate irregolari, risaltando l'effetto voluto con la reciproca concordanza della linea e del colore. Applicando il colore puro, così come esce dal tubetto, violento, appassionato e arbitrario, esprime un senso lirico-religioso che - secondo lui - rivela il suo significato intrinseco: per esempio il rosso e il verde esprimono le passioni umane; il giallo, l'amore; il nero, tutto ciò che è negativo. La forma è importantissima, inseparabile dal contenuto, ed è la ragione principale delle sue sintesi, delle sue deformazioni, dato che il contenuto dipende dal suo stato d'animo in quel preciso momento.
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L'influenza di Vincent van Gogh nel mondo dell'arte
Chi era van Gogh? E soprattutto, qual è stata l'influenza della sua pittura nella storia dell'arte mondiale? La firma dell'artista olandese, tanto inquieto e tormentato, quanto ricco di talento e di grande sensibilità, è facilmente riconoscibile e le sue opere – oltre ottocento, tra tele, schizzi e disegni – hanno profondamente segnato tutta l’arte del XX secolo. Prima di dedicarsi alla pittura, a cui si votò piuttosto tardi, Van Gogh svolse diversi lavori, senza mai trascurare però la sua passione più grande, il disegno, che coltivò fin da bambino. Nel 1980 decise di dedicarsi alla pittura, attraverso la quale riuscì ad esprimere tutto il tormento del suo mondo interiore, sebbene i suoi dipinti non furono all'epoca per niente apprezzati ed il suo genio totalmente incompreso. Negli anni successivi, però, la storia dell'arte ha completamente rivalutato la sua opera, annoverando il pittore tra i più illustri e significativi di tutti i tempi.
Dalla sua sensibilità artistica, dal suo modo di dipingere, dai colori, dal tratto forte e dalla drammaticità dei contenuti, secondo molti storici dell'arte, prese vita l'Espressionismo, un movimento artistico che trovò in Matisse, Munch, Kirchner e Schiele, tanto per citarne alcuni, i suoi esponenti più significativi.
La differenza tra il movimento Impressionista, molto in voga all'epoca in Francia, e quello Espressionista, che dalle sue opere ha preso vita, è piuttosto profonda e riguarda la diversa concezione della realtà ed il modo con cui approcciarvi. Gli impressionisti, infatti, guardavano al mondo esteriore con atteggiamento positivo, rappresentandone il bello con luminosità e vivacità di colori; il linguaggio espressionista, al contrario, è molto più drammatico e, teso a rappresentare l’interiorità profonda dell’animo umano, si distingue per i colori molto forti, a tratti 'violenti', e una deformazione quasi caricaturale dei soggetti dipinti.
Fortemente influenzato dalla pittura di Van Gogh, Henri Matisse è uno degli esponenti più originali dell'Espressionismo francese. Il suo modo di raffigurare la realtà, infatti, predilige forme semplificate, appiattite e bidimensionali, in cui l'accostamento di colori accesi e in contrasto tra loro, la fa da padrone. Insieme a lui, come dicevamo, anche Eduard Munch che, attraverso la pittura, ha saputo esprimere al meglio il disincanto ed il tormento dell'animo umano. Basta guardare al suo capolavoro più famoso, L'urlo, uno dei quadri più celebri dell'Espressionismo nordico in cui l'artista esprime al massimo il rapporto angoscioso che aveva nei confronti della vita.
Non solo. Come dicevamo l'arte di Van Gogh ha influenzato anche artisti come Kirchner, Heckel e Nolde, esponenti di spicco dell'Espressionismo tedesco che, attraverso i colori forti e le forme irregolari, quasi orride, dei loro soggetti, descrivono la spiacevole sensazione legata alla bruttezza e al degrado dell'animo umano.
La pittura di Vincent Van Gogh, dunque, è stata un punto fondamentale nello sviluppo dell'arte successiva: il suo tormento, i problemi psichici, i momenti di euforia alternati a profonde crisi esistenziali lo hanno reso non solo punto di riferimento imprescindibile per molti degli artisti a lui successivi, ma, nell'immaginario collettivo, l'artista moderno per eccellenza, il pittore maledetto che ha identificato la sua vita con la sua arte, vivendo entrambe con sofferenza e profonda drammaticità. Come ogni genio incompreso anche Van Gogh muore solo e disperato, per giungere a quella fama a cui molti talenti arrivano solo grazie alla riscoperta postuma.
Fonte: Caterina Padula – nanopress.it
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Van Gogh, dipingere con le parole. Le lettere al fratello Theo
"Sono così felice che tante cose ci accomunino, non soltanto i ricordi del passato ma anche tu lavori nella stessa galleria dov'ero io fino a poco fa, che tu quindi conosca tante persone e tanti luoghi che anch'io conosco, e che tu provi tanto amore per la natura e per l'arte" (lettera a Theo, 28 aprile 1876).
Fratello e amico, confidente e sostenitore, Theo Van Gogh è il destinatario di circa 900 lettere, scritte da Vincent dal 1872 fino alla morte, avvenuta a causa di circostanze tragiche il 29 luglio 1890.
Lettera di Vincent van Gogh a Theo Questo ricco epistolario, corredato da schizzi e disegni, rappresenta una fonte preziosissima per seguire la vita e l'evoluzione artistica di Van Gogh. Fiumi di inchiostro che raccontano la sua fragilità, le sue debolezze e le sue riflessioni. Affidare a carta e penna i propri pensieri voleva dire per Vincent aprire la sua anima, sviscerare i suoi pensieri, liberarsi dal peso di un'esistenza divenuta troppo opprimente, raccontare le proprie giornate e la genesi delle sue opere.
Vincent sapeva dipingere con le parole, oltre che con i pennelli. Scriveva in modo coinvolgente, permettendo al lettore di immaginare ciò che i suoi occhi d'artista registravano. "Il comportamento di van Gogh appariva ridicolo – scrisse M.J. Brusse – perché agiva, pensava, sentiva, viveva in modo diverso dai suoi coetanei… Aveva sempre un'aria assorta, grave, malinconica. Ma quando rideva, rideva con cordialità e giovialità e allora il suo viso si rischiarava".Fervente religioso fin dalla giovinezza, Vincent talvolta si abbandonava a vaneggiamenti di carattere teologico e filosofico, descrivendo spesso chiese, inni, canti e testi sacri.
Tuttavia, dal ricco epistolario non emerge l'immagine che noi tutti abbiamo di Van Gogh, ma quella di un sottile pensatore, di un uomo capace di scavare a fondo nell'intimo della sua anima, di un artista che fa, della carta e delle parole, il suo primo laboratorio.
Quando scriveva immaginava, lasciava andare a briglie sciolte la sua fantasia, elaborava i suoi futuri dipinti, raccontava delle sue scelte e, suo malgrado, del suo continuo tormento interiore: "Uno ha un grande fuoco nell'anima e nessuno viene mai a scaldarsi, i passanti non scorgono che un po’ di fumo in cima al comignolo e se ne vanno per la loro strada. E allora che fare, ravvivare questo fuoco interiore, avere del sale in sé, attendere pazientemente – ma con quanta impazienza – attendere il momento in cui, mi dico, qualcuno verrà a sedersi davanti a questo fuoco, e magari vi si fermerà".L'ultima lettera è datata 27 luglio 1890. Venne trovata addosso all'artista dopo la sua morte, avvenuta due giorni dopo. Difficile immaginare quali pensieri abbiano attraversato la sua mente prima di puntarsi quella rivoltella al petto. Nella lettera aveva scritto: "Vorrei scriverti molte cose ma ne sento l'inutilità […] per il mio lavoro io rischio la vita e ho compromesso a metà la mia ragione".
Il suo adorato Theo lo raggiunse sei mesi dopo. Per volontà della vedova, egli fu sepolto accanto a Vincent e, tra le due pietre tombali, fu piantato un ramoscello di edera. Ancora oggi, questa pianta cresce rigogliosa sulle lapidi, intrecciando i suoi rami l'uno all’altro, in un abbraccio inestricabile ed eterno.
Fonte: Laura Corchia – restaurars.it
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La Camera di Vincent ad Arles: analisi dell'opera
La camera di Vincent ad Arles - Ottobre 1888 - Olio su tela - 72x90 cm Descrizione dell'opera
La camera di Vincent van Gogh ad Arles rappresenta la stanza da letto di Vincent van Gogh. Questa stanza si trovava all'interno della Casa gialla nella quale l'artista abitava ad Arles. Il dipinto in figura fu realizzato ad Arles nell'ottobre del 1888, durante il soggiorno del pittore nella cittadina provenzale. Ne esistono altre due versioni, dipinte nel 1889 durante il volontario ricovero dell'artista nel manicomio di Saint-Rémy-de-Provence.
La stanza è arredata come un ambiente semplice nel quale sono presenti pochi mobili e oggetti.
Sulla destra si vede un letto in legno ad una piazza. Sulla sinistra poi un piccolo tavolino raccoglie gli oggetti per l’igiene quotidiana. Sopra al tavolino vi sono anche un piatto, un bicchiere ed una brocca.
Questo indica che probabilmente questo mobile era anche dedicato ai pasti frugali dell’artista. Sul muro, due chiodi reggono il necessario per la toeletta. Sopra al tavolino inoltre è appeso un povero specchio e a sinistra un asciugamano pende dal grosso chiodo.A sinistra in primo piano la sedia è posta di fronte alla porta d'uscita. Sopra a letto vi sono anche due ritratti e sotto, probabilmente, due stampe.
Di fronte all’osservatore si trova la parete che accoglie la finestra che fa anche da testata per il letto.
Dietro a questo si trova l’armadio di van Gogh. Un porta abiti con dei semplici ganci in metallo sui quali appendere i propri vestiti. Tra il letto e il tavolino la sedia fa da comodino.Analisi dell'opera
Gli oggetti e i mobili della Camera di Vincent van Gogh ad Arles sono definiti da linee di contorno molto nette e scure.
I colori sono molto brillanti e puri. Spicca il rosso della coperta che crea un contrasto di complementari con la seduta verde, brillante, delle due sedie. Le pareti e alcuni oggetti sono di un blu intenso, come anche le porte, complementare al giallo arancio degli arredi. Il pavimento è di legno marrone e grigio. Gli arredi in legno, letto, tavolino e sedie sono di un marrone tendente all'arancione. Il colore viene utilizzato in modo emotivo.
Come nei suoi paesaggi, Vincent van Gogh, anche nella sua stanza utilizza il colore in modo psicologico. Anche la matericità del colore ha una componente importante. La pasta spremuta direttamente sulla tela modellata con le dita o con il pennello trasmette una maggiore forza emotiva. Questa tecnica si apprezza negli ultimi lavori come ad esempio La Chiesa di Auvers-sur-Oise.Lo spazio
La prospettiva utilizzata da Van Gogh per la sua camera è centrale ma un po' ondeggiante. Inoltre il nostro punto di vista si trova circa a metà della finestra dipinta. La posizione della sedia e del letto sembra essere rialzata come su di un palcoscenico inclinato. Questo effetto crea quindi una proiezione dello spettatore verso il centro del dipinto. I punti di vista sono diversi e non coincidenti con le fughe delle diagonali che convergono verso propri centri. Probabilmente fu una scelta dello stesso Vincent Van Gogh. Infatti le sedie sono viste dall'alto mentre il tavolino e il letto hanno una prospettiva diversa.
Questa rappresentazione dello spazio non è geometricamente regolare. Però lo spazio deformato crea una complicità emotiva con lo spettatore. In un'epoca nella quale la fotografia era già chiaramente presente, Van Gogh vuole rappresentare uno spazio personale. Per fare questo deforma l'evidenza della materia e utilizza colori accesi.
Fonte: © ADO – analisidellopera.it
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Vincent van Gogh: la malattia
Vincent van Gogh è considerato oggi "il pittore malato" per eccellenza.
La natura della sua malattia, che si manifestò prima dei trent'anni, è stata oggetto di numerose ricostruzioni e interpretazioni diagnostiche, fondate soprattutto sulle numerose lettere che van Gogh stesso scrisse al fratello Theo.
Ampia è la letteratura riguardante le cause delle sua malattia, le quali suscitano ancora oggi grande interesse [Arnold, 1992; 2004; Blumer, 2002; van Meekeren, 2000; Strik, 1997; Meissner, 1994; Lemke, 1993; Rahe, 1990; 1992].
Nel momento in cui le sue crisi, caratterizzate soprattutto da allucinazioni e attacchi di tipo epilettico, si manifestavano, l'artista "cadeva" in uno stato di profonda depressione, ansietà e confusione mentale, tanto da renderlo totalmente incapace di lavorare.
Dapprima si pensò che si trattasse di epilessia, ma questa ipotesi rimane solo in parte convincente in quanto non è provato che van Gogh soffrisse dei sintomi che caratterizzano il "grande male" (convulsioni di tipo motorio, tonico-cloniche), tanto meno delle manifestazioni proprie del "piccolo male".
Questa prima ipotesi diagnostica, d'altro canto, fu probabilmente formulata non in base ai sintomi che distinguevano la sua malattia, ma da ciò che van Gogh disse di sé: "sono un pazzo o un epilettico".
Sulla base, soprattutto, delle allucinazioni di cui soffriva e in seguito ad un episodio di paranoia, nel quale fu tormentato dalla convinzione che i vicini lo volessero avvelenare, Jasper ipotizzò che l'artista potesse essere schizofrenico, ma anche questa supposizione pare soddisfare solo in parte i criteri che rientrano nel quadro della schizofrenia.
Un'ulteriore trattazione è quella proposta da Arnold (1992), il quale riscontra nei sintomi dichiarati dal pittore una somiglianza con quelli propri di una rara malattia eridataria: la porfiria acuta intermittente.
Questa patologia si manifesta in età adulta con attacchi improvvisi, intervallati da periodi di benessere; disturbi gastro-intestinali gravi, neuriti periferiche, disturbi psichiatrici con allucinazioni ne caratterizzano il quadro sintomatologico, nonché quello proprio della malattia di van Gogh.
È noto inoltre che, come numerosi artisti dell'epoca (Manet, Degas, Toulouse-Lautrec), anche van Gogh facesse uso di una bevanda alcolica decisamente tossica ma assai in voga nella Francia di quel periodo: l'assenzio. Questo liquore dal colore verde intenso, che diviene giallo se allungato con acqua, si ricava dalla pianta Artemisia absinthium e contiene, oltre all'alcol, alcuni olii essenziali molto tossici, dagli effetti dannosi sul sistema nervoso, come il tuione in grado di provocare allucinazioni visive ed attacchi epilettici.
Quindi, come sostengono numerosi studiosi [Holstege et. al., 2002; Berggren, 1997; Bonkovsky et al., 1992; Arnold, 1988] l'uso di assenzio e di altre bevande alcoliche, associato ad una cattiva o scarsa nutrizione devono aver aggravato i sintomi della sua malattia.
Il pittore Paul Signac, amico di van Gogh, raccontò un episodio che sottolinea l'ultimo periodo della vita del grande pittore: "Tutto il giorno mi aveva parlato di pittura, letteratura, socialismo. A sera era un po' stanco. [...] Voleva bere d'un colpo un litro di essenza di trementina, che si trovava sul tavolo della camera".Un anno prima della sua morte van Gogh, dopo una violenta discussione con il pittore amico Gauguin, si recise l'orecchio sinistro. Un suo autoritratto testimonia l'episodio di automutilazione che contrassegnò la sua malattia.
Il caffè di notte - 1888 - Olio su tela - 70x89 cm Alcuni studi [Lee, 1981; Lanthony, 1989; Arnold, 1991; Elliot, 1993] hanno tentato di mettere in relazione la malattia di van Gogh con la sua passione per il colore giallo, che predomina nelle tele del periodo francese. Offuscando un po' la sua "reale" creatività questi autori sostengono che i colori caldi - e così "veri" - gli furono ispirati soprattutto dalle allucinazioni visive, in grado di alterare il senso cromatico e la percezione di forma e dimensione. Molti suoi capolavori possano apparire realmente "allucinati", ma forse la creatività di van Gogh nasceva anche dalla "geniale" capacità di guardare la realtà da prospettive non ordinarie.
Il quadro rappresenta l'interno di un caffè che si trovava nella place Lamartine ad Arles. Al fratello Theo, van Gogh scrisse del ruolo emotivo ricoperto dal colore nella sua pittura e a proposito di questo dipinto dirà: "Ho cercato di esprimere con il rosso e il verde le terribili passioni umane. La sala è rosso sangue e giallo opaco, un biliardo verde in mezzo, quattro lampade giallo limone a irradiazione arancione e verde. C'è dappertutto una lotta e un'antitesi dei più diversi verdi e rossi, nei piccoli personaggi di furfanti dormienti, nella sala triste e vuota, e del violetto contro il blu".
In tal modo van Gogh sembra rinunciare alla resa della luce degli impressionisti per tornare all´esaltazione dei sentimenti forti espressa dal colore.Non si possono associare alla creatività di van Gogh e all'originalità dei suoi dipinti caratteristiche dei "limiti" di una patologia: Vincent Van Gogh non finì mai di dipingere e rimase meravigliosamente creativo fino alla sua morte.
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